Kevin Carson

Autorità: Se è un Bene, Perché Ci Fa Sentire Così Male?

17-03-2013

In passato, ho dibattuto contro l’autorità sia in termini di principi che di conseguenze. Istituzioni come lo stato non hanno autorità legittima su di te perché nessuno possiede nessun altro, e tu non puoi delegare ad un’istituzione un’autorità che non hai, affinché la eserciti in tuo nome.

A livello pratico, l’autorità conduce a irrazionalità e inefficienza perché filtra e distorce il flusso di informazioni e porta chi deve prendere decisioni ad operare in un mondo puramente immaginario. Così era il Gosplan della vecchia Unione Sovietica, e ogni consiglio di amministrazione di Fortune 500, nonostante gli intenti e i propositi, non è altro che un mini Gosplan. L’autorità porta a risultati socialmente carenti perché chi prende le decisioni riesce a scaricare sui subordinati le conseguenze negative dei suoi atti e a prendersi il merito di quelle positive.

Ma un sacco di persone trova questi argomenti intellettuali non convincenti. Non li sente nella pancia.

Così questa volta prenderò la cosa da un angolo diverso: L’autorità è un male perché è così che ti fa sentire.

Immagina di guidare da solo, e di guardare lo specchietto, e di vedere una macchina della polizia che ti segue. Ti senti fiducioso e sollevato? Pensi: “Sono contento di essere protetto e servito”? Ne dubito. Il tuo primo pensiero è: Alla prima occasione faccio una svolta o lo lascio passare così mi libero dello sbirro. Quando vedi che la polizia è sempre dietro, quasi certamente ti chiedi se hai commesso un errore, se hai fatto qualcosa di male per cui la polizia adesso ti fermerà. E più la polizia ti segue, più ti sta dietro una svolta dopo l’altra, e più cresce dentro di te la voce del panico: “Sono nei casini! Devo aver fatto qualcosa di sbagliato.”

In breve, arrivi a sentirti un bambino “cattivo” di fronte ad una figura autoritaria adulta.

Ti ricordi quando eri davvero un bambino e tua madre o tuo padre ti dicevano: “Vieni che ti devo parlare”? O quando il maestro ti prendeva da parte per un “discorsetto”, o il principale ti convocava nel suo ufficio? Ti sentivi come se la figura autoritaria dietro la scrivania fosse alta trenta metri e ti stesse guardando, tu miserabile verme, attraverso un microscopio. Ti sentivi come Bobi sorpreso a fare la pipì sul tappeto.

Probabilmente è così che ti senti da adulto, al lavoro, quando il capo ti convoca nel suo ufficio. Se non sai di cosa si tratta, cominci a frugare nella tua testa alla ricerca di un tuo errore. Si incavolerà con me? Mi urlerà? Perderò il lavoro? Sono nei casini. STO MALE.

Questo accade perché, detto molto semplicemente, l’autorità è il male. Ti riduce alla sensazione di impotenza e paura che provavi da bambino. Ti fa sentire malvagio. Ti porta a pensare di aver commesso qualcosa di male.

Nessuno vorrebbe sentirsi così. Una società in cui la maggior parte della nostra vita trascorre sotto il controllo di istituzioni dirette da figure autoritarie che hanno il potere di farci sentire così è una società fondamentalmente malata.

Guardando la cosa da un’altra angolazione, l’autorità è un male per via di come ti senti quando ti identifichi con essa. Quando compare la notizia di un tizio che è stato battuto da un poliziotto, tra i commenti c’è sempre qualcosa come: “Gli servirà da lezione. Quando un poliziotto ti dice di fare una cosa, fai così!” Una triste parte delle discussioni politiche in America, soprattutto a destra, si incentrano sull’accusa di una certa “debolezza” con questo o quello, promettono “la linea dura” con quell’altro, e invocano “una lezione” per tutta una serie di gruppi marginali e dissidenti, contestatori, nazioni estere che disobbediscono, gay, minoranze razziali, donne, “immigrati clandestini”, eccetera: “Fategli vedere chi è che comanda!”

Quelli che vedono il mondo attraverso questa lente, tipicamente, sono persone che le hanno prese (letteralmente o metaforicamente) dalle autorità fino a quando non hanno capito che per uscire dal vicolo cieco non gli restava che identificarsi con l’autorità stessa e dirigere la propria rabbia repressa verso i suoi nemici. In altre parole, hanno imparato ad amare il Grande Fratello.

Una società che crea questa mentalità è anch’essa una società malata.

Trattare gli altri, chiunque, da eguale ad eguale, fiduciosi e senza paure, è il modo corretto di vivere. È l’unico modo di vivere.


C4SS.org, traduzione di Enrico Sanna