Laboria Cuboniks

Xenofemminismo

Una Politica per l’Alienazione

Giugno 2015

      ZERO

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      INTERROMPERE

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      INTRAPPOLARE

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      PARITÀ

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      AGGIUSTARE

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      PORTARE

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      TRABOCCARE

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ZERO

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Il nostro è un mondo in vertigine. È un mondo che brulica di mediazione tecnologica e interlaccia la nostra vita quotidiana con l’astrazione, la virtualità e la complessità. XF costruisce un femminismo adattato a queste realtà: un femminismo di astuzia, scala e visione senza precedenti; un futuro nel quale la realizzazione della giustizia di genere e l’emancipazione femminista contribuiranno a una politica universalista assemblata a partire dalle esigenze di ogni essere umano, trascendendo razza, (normo-)abilità, capacità economica e posizione geografica. Basta alla reiterazione senza futuro sulla macina del capitale, alla sottomissione alla fatica ingrata del lavoro, sia produttivo che riproduttivo, basta alla reificazione della realtà mascherata da critica. Il nostro futuro richiede depietrificazione. XF non è un’offerta di rivoluzione, ma una scommessa al lungo gioco della storia, che richiede immaginazione, destrezza e persistenza.

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XF si impadronisce dell’alienazione come impulso a generare nuovi mondi. Siamo tutt* alienat* – c’è mai stato un tempo in cui non lo eravamo? È attraverso, e non malgrado, la nostra condizione alienata che possiamo liberarci dal fango dell’immediatezza. La libertà non è un dato di fatto – e non è certamente data da qualcosa di “naturale”. La costruzione della libertà implica non meno, ma più alienazione; l’alienazione è il lavoro di costruzione della libertà. Nulla dovrebbe essere accettato come fisso, permanente o “dato” – né le condizioni materiali né le forme sociali. XF muta, naviga e sonda ogni orizzonte. Chiunque sia stat* ritenut* “innaturale” a fronte delle norme biologiche dominanti, chiunque abbia sperimentato le ingiustizie compiute in nome dell’ordine naturale, si renderà conto che il culto della “natura” non ha nulla da offrirci – le persone queer e trans tra di noi, le diversamente abili, così come chi ha sofferto discriminazioni a causa di gravidanze o doveri relativi alle cure parentali. XF è veementemente anti-naturalista. Il naturalismo essenzialista puzza di teologia – prima viene esorcizzato, meglio è.

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Perché lo sforzo esplicito e organizzato per reindirizzare le tecnologie a fini politici progressisti di genere è così carente? XF vuole schierare strategicamente le tecnologie esistenti per riprogettare il mondo. In questi strumenti sono incorporati gravi rischi; essi tendono verso gli squilibri, gli abusi e lo sfruttamento de* deboli. Piuttosto che far finta di non rischiare nulla, XF propone il necessario assemblaggio di interfacce tecno-politiche reattive a questi rischi. La tecnologia non è intrinsecamente progressista. I suoi utilizzi sono inseparabili dalla cultura, in un ciclo di feedback positivo che rende impossibili il sequenziamento lineare, la previsione e la cautela assoluta. L’innovazione tecno-scientifica deve essere collegata a un pensiero teorico e politico collettivo nel quale donne, queer e persone di genere non conforme giochino un ruolo senza precedenti.

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Il vero potenziale emancipatorio della tecnologia rimane irrealizzato. Alimentata dal mercato, la sua rapida crescita è controbilanciata dal suo gonfiarsi, e l’innovazione elegante è consegnata nelle mani dell’acquirente, per decorarne il mondo stagnante. Al di là del disordine rumoroso della spazzatura tecnologica mercificata, il compito definitivo consiste nel progettare tecnologie utili a lottare contro la disparità di accesso agli strumenti di riproduzione e farmacologici, contro il cataclisma ambientale, l’instabilità economica, così come pericolose forme di lavoro non retribuito/sottopagato. La disuguaglianza di genere caratterizza ancora i settori nei quali le nostre tecnologie sono concepite, costruite e regolamentate, mentre le lavoratrici nel campo dell’elettronica (per citare solo un settore industriale) eseguono alcuni dei lavori peggio pagati , più monotoni e debilitanti. Tale ingiustizia richiede una correzione strutturale, macchinica e ideologica.

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Lo xenofemminismo è un razionalismo. Affermare che la ragione o la razionalità sia “per natura” un’impresa patriarcale è ammettere la sconfitta. È vero che la “storia del pensiero” tradizionale è dominata dagli uomini e che sono mani maschili quelle che vediamo soffocare le istituzioni esistenti di scienza e tecnologia. Ma proprio per questo il femminismo deve essere un razionalismo – a causa, e non malgrado, questo squilibrio vergognoso. Non vi è alcuna razionalità “femminile”, né “maschile”. La scienza non è un’espressione, ma una sospensione del genere. Se oggi è dominata da ego maschili, allora è in contraddizione con se stessa – e questa contraddizione può essere sfruttata. La ragione, come l’informazione, vuole essere libera, e il patriarcato non può darle la libertà. Il razionalismo deve essere esso stesso un femminismo. XF segna il punto in cui queste affermazioni si intersecano in una dipendenza a doppio senso. Nomina la ragione quale motore di emancipazione femminista e dichiara il diritto di tutt* a parlare come nessun* in particolare.

INTERROMPERE

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L’eccesso di modestia delle agende femministe degli ultimi decenni non è proporzionato alla complessità mostruosa della nostra realtà, una realtà tratteggiata da cavi in fibra ottica, onde radio e microonde, oleodotti e gasdotti, rotte aeree e di navigazione e l’inesorabile, simultanea esecuzione di milioni di protocolli di comunicazione a ogni millisecondo che passa. Il pensiero sistematico e l’analisi strutturale sono in gran parte caduti nel dimenticatoio a favore di lotte ammirevoli, ma insufficienti, legate a località statiche e insurrezioni frammentate. Mentre il capitalismo è inteso come una totalità complessa e in continua espansione, molti aspiranti progetti anticapitalisti di emancipazione continuano ad avere una profonda paura di transizionare all’universale e resistono alle politiche che riflettono sul quadro d’insieme, condannandole come vettori necessariamente oppressivi. Tale falsa garanzia considera gli universali come assoluti, generando una disgiunzione debilitante tra ciò che cerchiamo di destituire e le strategie che promuoviamo per riuscirvi.

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La complessità globale ci mette di fronte a esigenze cognitive ed etiche urgenti. Queste sono responsabilità prometeiche, che non si possono eludere. Gran parte del femminismo del ventunesimo secolo – dai residui delle politiche identitarie postmoderne ad ampie fasce dell’ecofemminismo contemporaneo – lotta per affrontare adeguatamente tali sfide con modalità capaci di produrre cambiamenti sostanziali e duraturi. Lo xenofemminismo si sforza di affrontare questi obblighi come agenti collettivi capaci di transitare tra molteplici livelli di organizzazione politica, materiale e concettuale.

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Siamo risolutamente sintetiche, insoddisfatte della sola analisi. XF spinge verso un’oscillazione costruttiva tra descrizione e prescrizione per mobilitare il potenziale ricorsivo delle tecnologie contemporanee sul genere, la sessualità e le disparità di potere. Dato che esistono una serie di sfide di genere che riguardano specificamente la vita nell’era digitale – dalle molestie sessuali attraverso i social media, al doxing, alla privacy e alla tutela delle immagini online – la situazione richiede un femminismo a proprio agio con l’informatica. Oggi per noi un imperativo è sviluppare un’infrastruttura ideologica che sostenga e faciliti gli interventi femministi all’interno degli elementi connettivi e di rete del mondo contemporaneo. Lo xenofemminismo eccede l’auto-difesa digitale e la libertà dalle reti patriarcali. Vogliamo coltivare l’esercizio della libertà positiva – libertà “di” piuttosto che semplicemente libertà “da” – e sollecitare le femministe a dotarsi delle abilità per re-impiegare le tecnologie esistenti e inventare nuovi strumenti cognitivi e materiali al servizio di fini comuni.

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Le opportunità radicali offerte dallo sviluppo (e dall’alienazione) di forme di mediazione tecnologica non dovrebbero più essere utilizzate nell’interesse esclusivo del capitale che, secondo i piani, beneficia solo poch*. Vi sono strumenti incessantemente proliferanti da conquistare, e anche se nessun* può rivendicare la loro accessibilità totale, gli strumenti digitali non sono mai stati più ampiamente disponibili o suscettibili di appropriazione di quanto non siano oggi. Tutto ciò non vuole cancellare il fatto che una moltitudine di persone povere nel mondo subisce le conseguenze negative dell’espansione dell’industria tecnologica (da chi lavora in fabbrica in condizioni abominevoli, ai villaggi del Ghana diventati depositi di rifiuti tecnologici delle potenze mondiali), ma vuole essere un riconoscimento esplicito di queste condizioni con l’obiettivo di eliminarle. Proprio come l’invenzione del mercato azionario è stata anche l’invenzione del suo stesso crollo, lo xenofemminismo sa che l’innovazione tecnologica, allo stesso modo, deve anticipare la sua condizione sistemica con una risposta pronta ed efficace.

INTRAPPOLARE

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XF rifiuta illusione e malinconia come inibitori politici. L’illusione, come la cieca presunzione che i/le deboli possano prevalere sui/lle forti senza un coordinamento strategico, porta a promesse non mantenute e iniziative scoordinate. È una politica che, nel volere molto, finisce per costruire poco. Senza un lavoro di organizzazione sociale collettiva su larga scala, dichiarare il proprio desiderio di cambiamento globale non è altro che un’illusione. D’altra parte, la malinconia – così endemica nella sinistra – ci insegna che l’emancipazione è una specie estinta sulla quale piangere e che i “bip” della negazione sono il meglio che possiamo sperare. Nel peggiore dei casi, un simile atteggiamento genera solo apatia politica e, nel migliore, instaura un clima di disperazione pervasiva che spesso degenera nella faziosità e nel moralismo meschino. Il male della malinconia aggrava soltanto l’inerzia politica e – camuffato da realismo – abbandona ogni speranza di calibrare il mondo altrimenti. Lo xenofemminismo vaccina contro tali malattie.

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Riteniamo insufficiente la politica che valorizza esclusivamente il locale allo scopo di sovvertire correnti di astrazione globale. Prendere le distanze, o ripudiare la macchina capitalista non la farà sparire. Allo stesso modo, i suggerimenti di tirare la leva del freno di emergenza delle velocità incorporate, l’esortazione a rallentare e a decrescere, è una possibilità disponibile solo a poch* – una particolarità violenta di esclusività – che in ultima analisi comporta la catastrofe per molti. Rifiutarsi di pensare al di là delle microcomunità, di coltivare le connessioni tra insurrezioni frammentate, di considerare come le tattiche emancipatorie possano essere dimensionate su larga scala per essere implementate universalmente, significa accontentarsi di azioni temporanee e difensive. XF è una creatura affermativa, che gioca all’attacco, che insiste ferocemente sulla possibilità di un cambiamento sociale su larga scala per tutta la nostra stirpe aliena.

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Il senso della volatilità e artificialità del mondo sembra essere svanito dalla politica queer e femminista contemporanea, in favore di una costellazione plurale ma statica di identità di genere, alla cui luce tetra si restaurano ostinatamente le equazioni tra ciò che è bene e ciò che è naturale. Pur avendo (forse) espanso ammirevolmente le soglie della “tolleranza”, troppo spesso ci viene detto di cercare conforto nella non-libertà, affermando la pretesa di essere “nati” in questo modo, come per fornire una scusa con la benedizione della natura. Nel frattempo, il centro eteronormativo continua a lavorare a tutta forza. XF contesta tale referente centrifugo, ben sapendo che il sesso e il genere esemplificano il fulcro tra norma e realtà, tra libertà e costrizione. Inclinare il fulcro in direzione della natura è, nel migliore dei casi, una concessione difensiva, e una ritirata rispetto a ciò che rende la politica trans e queer più di una lobby: ovvero l’ardua affermazione di una libertà contro un ordine che sembrava immutabile. Come per ogni mito relativo ai dati di fatto, viene prodotto, attraverso l’affabulazione, un fondamento stabile per un mondo reale fatto di caos, violenza e dubbio. Il “dato” è sequestrato nel regno del privato come certezza, mentre ci si ritira sui fronti delle conseguenze pubbliche. Quando la possibilità di transizione è diventata reale e conosciuta, la tomba sotto il santuario della Natura si è incrinata e nuove narrazioni – irte di futuri – sono sfuggite al vecchio ordine del “sesso”. La griglia disciplinare del genere è in gran parte un tentativo di riparare quel fondamento in frantumi e domare le vite che sono sfuggite da esso. Ora è giunto il momento di abbattere del tutto questo santuario, e non di inchinarvisi e scusarsi pietosamente per quella poca autonomia conquistata.

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Se il “cyberspazio” un tempo offriva la promessa di sfuggire alle costrizioni delle categorie identitarie essenzialiste, il clima dei social media contemporanei ha oscillato con forza nella direzione opposta ed è diventato un teatro dove ci si prostra continuamente all’altare dell’identità. Insieme a queste pratiche curatoriali ritornano rituali puritani di manutenzione morale e queste fasi sono troppo spesso invase dai piaceri non confessati dell’accusa, della vergogna e della denuncia. Piattaforme preziose per il collegamento, l’organizzazione e la condivisione di abilità vengono intasate da ostacoli al dibattito produttivo camuffati da dibattito. Queste politiche puritane della vergogna – che feticizzano l’oppressione come se fosse una benedizione e intorbidano le acque con frenesie moraliste – ci lasciano fredde. Noi non vogliamo né mani pulite, né anime belle, né virtù, né terrore. Vogliamo forme superiori di corruzione.

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Ciò dimostra che il compito di progettare piattaforme per l’emancipazione e l’organizzazione sociale non può ignorare le mutazioni culturali e semiotiche che queste piattaforme rendono possibili. Ciò che richiede una riprogettazione sono i parassiti memetici che suscitano e coordinano i comportamenti in modi che vengono occlusi dall’immagine di sé dei loro ospiti; se ciò non avviene, i meme come “anonimato”, “etica”, “giustizia sociale” e “controllo del privilegio” ospitano dinamismi sociali in contraddizione con le intenzioni spesso lodevoli con cui vengono assunti. Il compito di un autocontrollo collettivo richiede una manipolazione iperstizionale dei fili da marionetta del desiderio e l’impiego di operatori semiotici su un terreno di sistemi culturali altamente collegati in rete. La volontà sarà sempre corrotta dai meme in cui traffica, ma nulla ci impedisce di strumentalizzare questo fatto e di calibrarlo in vista dei fini che essa desidera.

PARITÀ

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Lo xenofemminismo persegue l’abolizione del genere. “Abolizionismo del genere” non significa eradicare quelli che sono attualmente considerati i tratti “di genere” della popolazione umana. Sotto il regime patriarcale, un progetto di questo tipo non potrebbe che portare al disastro – dal momento che l’idea di ciò che è “di genere” si associa in modo sproporzionato al femminile. Ma anche se questo equilibrio fosse ristabilito, non abbiamo alcun interesse a vedere ridotta la diversità sessuata del mondo. Che sboccino un centinaio di sessi! Con il termine “abolizionismo del genere” intendiamo l’ambizione di costruire una società in cui i tratti attualmente riuniti sotto la rubrica del genere non possano più fornire una griglia per il funzionamento asimmetrico del potere. L’“abolizionismo della razza” si sviluppa con una formula simile – la lotta deve continuare fino a quando le caratteristiche attualmente razzializzate non siano più la base della discriminazione, non più del colore degli occhi. In ultima analisi, ogni abolizionismo emancipatorio deve tendere all’orizzonte dell’abolizionismo delle classi, poiché è nel capitalismo che incontriamo l’oppressione nella sua forma trasparente e denaturalizzata: non siete sfruttat* o oppress* perché lavorator* salariat* o pover*; siete lavorator* o pover* perché siete sfruttat*.

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Lo xenofemminismo è consapevole che la fattibilità di progetti di emancipazione abolizionisti – l’abolizione di classe, genere e razza – dipende da una profonda rielaborazione dell’universale. L’universale deve essere colto come generico, vale a dire, intersezionale. L’intersezionalità non è la morcellazione di collettivi in una rappresentazione statica e indistinta di identità dai riferimenti incrociati, ma un orientamento politico che attraversa come una lama ogni particolare, rifiutando la classificazione grossolana dei corpi. Questo concetto non è un universale che può essere imposto dall’alto, ma costruito dal basso – o meglio, lateralmente, aprendo nuove linee di transito attraverso un paesaggio irregolare. Questa universalità non assoluta e generica deve guardarsi dalla facile tendenza a fondersi con particolarità ampollose e non marcate – ovvero l’universalismo eurocentrico – per cui il maschile è scambiato per il neutro, il bianco per la “norma”, il cisgender per il “vero” e così via. In assenza di tale universale, l’abolizione della classe resterà una fantasia borghese, l’abolizione della razza resterà tacita supremazia bianca e l’abolizione del genere una misoginia appena velata, anche – e specialmente – quando perseguita da femministe dichiarate. (Lo spettacolo assurdo e sconsiderato di tante campagne contro le donne transessuali, promosse da sedicenti abolizioniste del genere, ne è prova sufficiente).

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Dal postmodernismo abbiamo imparato a bruciare le facciate del falso universale e a dissipare tali confusioni; dal modernismo abbiamo imparato a setacciare nuovi universali dalle ceneri del falso. Lo xenofemminismo ambisce a costruire una politica di coalizione, una politica non contaminata dalla purezza. Brandire l’universale richiede qualificazione attenta e auto-riflessione precisa, in modo che esso diventi uno strumento a portata di mano per molteplici corpi politici e qualcosa di cui ci si può appropriare in opposizione alle numerose oppressioni che attraversano il sesso e la sessualità. L’universale non è un modello, e piuttosto che dettarne gli usi in anticipo, proponiamo XF come piattaforma. Lo stesso processo di costruzione è quindi inteso come rielaborazione negentropica, iterativa e continua. Lo xenofemminismo aspira ad essere un’architettura mutevole che, come un software open source, rimane disponibile alla modifica e al miglioramento continuo seguendo l’impulso di navigazione del ragionamento etico militante. Aperto, però, non significa non orientato. I sistemi più durevoli al mondo devono la loro stabilità al modo in cui addestrano l’ordine perché emerga come una “mano invisibile” dalla spontaneità apparente; o sfruttano l’inerzia dell’investimento e della sedimentazione. Non dobbiamo esitare a imparare dai nostri avversari o dai successi e i fallimenti della storia. Con questo in mente, XF ambisce a seminare un ordine che sia equo e giusto, iniettandolo nella geometria delle libertà che queste piattaforme permettono.

AGGIUSTARE

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Il nostro destino è legato alla tecnoscienza, dove nulla è tanto sacro da non poter essere riprogettato e trasformato in modo da allargare la nostra prospettiva di libertà, estendendola al genere e all’umano. Dire che nulla è sacro, che nulla è trascendente, né può essere sottratto alla volontà di conoscere, di ritoccare, di hackerare, significa dire che nulla è sovrannaturale. La “Natura” – qui concepita come campo sconfinato della scienza – è tutto ciò che c’è. E così, nell’abbattere la malinconia e l’illusione; ciò che è senza ambizioni e non-perseguibile; il puritanesimo libidinizzato di certe culture online e la Natura come dato non-rifabbricabile, scopriamo che il nostro antinaturalismo normativo ci ha spint* verso un naturalismo ontologico incrollabile. Non vi è nulla, sosteniamo, che non si possa studiare scientificamente e manipolare tecnologicamente.

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Ciò non vuol dire che la distinzione tra ontologico e normativo, tra fatto e valore, sia definita nettamente una volta per tutte. I vettori dell’antinaturalismo normativo e del naturalismo ontologico si estendono in molti campi di battaglia ambivalenti. Il progetto di districare ciò che dovrebbe essere da ciò che è, di dissociare la libertà dal fatto, la volontà dal sapere, è in realtà un compito infinito. Vi sono molte lacune, dove il desiderio ci mette di fronte alla brutalità del fatto, dove la bellezza non è dissociabile dalla verità. La poesia, il sesso, la tecnologia e il dolore sono incandescenti per questa tensione che abbiamo tracciato. Ma se rinunciamo al compito della revisione, se molliamo le redini e allentiamo la tensione, questi filamenti si spengono all’istante.

PORTARE

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Il potenziale che aveva inizialmente la cultura di internet, incentrata sul testo, di contrastare regimi di genere oppressivi, di produrre solidarietà fra gruppi emarginati e aprire nuovi spazi di sperimentazione, che ha infiammato il cyberfemminismo degli anni novanta, nel ventunesimo secolo si è chiaramente affievolito. Il predominio del visuale nelle moderne interfacce online ha riesumato le classiche modalità di vigilanza delle identità, relazioni di potere e norme di genere nelle rappresentazioni di sé. Ciò non significa che le sensibilità cyberfemministe appartengano al passato. Per distinguere tra le potenzialità sovversive e quelle oppressive oggi nascoste nel web è necessario un femminismo attento al pericolo di un ritorno delle vecchie strutture di potere, ma abbastanza accorto da sapere come sfruttarne le potenzialità. Non è possibile separare le tecnologie digitali dalle realtà materiali che le sottoscrivono; sono collegate in modo che l’una possa prestarsi a modificare l’altra a fini tra loro diversi. Anziché sostenere il primato del virtuale sul materiale, o del materiale sul virtuale, lo xenofemminismo individua punti di forza e di debolezza in entrambi e mette in pratica questo sapere nella forma di interventi effettivi nella nostra realtà costituita da tutti e due i piani.

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Intervenire sulle egemonie più chiaramente materiali è tanto importante quanto intervenire sulle egemonie culturali e digitali. Le modifiche all’ambiente costituito riservano alcune delle possibilità più significative nella riconfigurazione degli orizzonti delle donne e dei soggetti queer. In quanto materializzazioni di costellazioni ideologiche, la produzione dello spazio e le decisioni adottate per organizzarlo sono in ultima analisi articolazioni su “noi stess*” e, reciprocamente, sulle modalità con cui è possibile articolare un “noi”. Avendo il potenziale di precludere, circoscrivere o rendere possibili condizioni sociali future, i soggetti xenofemministi devono entrare in sintonia con il linguaggio dell’architettura, concepito come vocabolario per una coreo-grafia collettiva – una scrittura coordinata dello spazio.

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Dalla strada alla casa, anche lo spazio domestico non deve sfuggire ai nostri tentacoli. Così profondamente radicato, lo spazio domestico è stato ritenuto impossibile da scollegare, dove la casa come norma è stata fatta coincidere con la casa come fatto, come dato non-rifabbricabile. L’ottundente “realismo domestico” non ha spazio nel nostro orizzonte. Vogliamo mirare a case implementate fatte di laboratori condivisi, di strutture tecniche e media in comune. La casa è matura per la trasformazione spaziale quale parte integrante in qualsiasi processo di futurità femminista. Ma questo processo non può fermarsi all’entrata del giardino. Sappiamo bene che al momento le reinvenzioni della struttura familiare e della vita domestica sono possibili solo a costo di ritirarsi dalla sfera economica – la via della comune – o caricandosi dei suoi molti fardelli – la via della famiglia monogenitoriale. Se vogliamo rompere con l’inerzia che ha mantenuto al suo posto la figura agonizzante della famiglia nucleare, che ha caparbiamente lavorato per isolare le donne dalla sfera pubblica e gli uomini dalla vita de* loro figl*, penalizzando coloro che si allontanano da essa, dobbiamo riorganizzare l’infrastruttura materiale e interrompere i cicli economici che la bloccano in posizione. Il compito che ci attende è duplice e la nostra visione necessariamente stereoscopica: dobbiamo progettare un’economia che liberi il lavoro riproduttivo e la vita familiare e al tempo stesso costruisca modelli di famiglia liberi dalla routine mortifera del lavoro salariato.

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Dalla casa al corpo, si fa urgente l’articolazione di una politica proattiva per l’intervento biotecnologico e gli ormoni. Gli ormoni hackerano i sistemi di genere attraverso una portata politica che si estende oltre la calibrazione estetica dei corpi individuali. Pensata in modo strutturale, la distribuzione degli ormoni – chi o che cosa questa distribuzione rende prioritario o patologizza – è di primaria importanza. L’ascesa di internet e l’idra delle farmacie del mercato nero che è stata in grado di scatenare – insieme a un archivio accessibile al pubblico di know-how endocrinologico – è stata determinante per strappare il controllo dell’economia ormonale alle istituzioni di “gatekeeping” [di controllo] che cercano di ridurre le minacce alla distribuzione prestabilita del sessuale. Rimpiazzare la regola dei burocrati con il mercato non è, tuttavia, una vittoria di per sé. Queste maree devono alzarsi di più. Ci chiediamo se l’idioma dell’“hackeraggio di genere” si possa estendere come strategia ad ampio raggio, una strategia per un “wetware” simile a quello che la cultura hacker ha già fatto per il software – la costruzione di un intero universo di piattaforme libere e open source, ovvero la cosa più vicina a un comunismo praticabile che molt* di noi abbiano mai visto. Senza mettere avventatamente alcuna vita in pericolo, possiamo cucire insieme le promesse embrionali che ci vengono offerte dalla stampa farmaceutica 3D (“Reactionware”), dalle cliniche abortiste di base che usano la telemedicina, dagli/le hacktivist* di genere, dai forum di DIY-HRT [terapia ormonale sostitutiva fai-da-te] e così via, per assemblare una piattaforma per una medicina gratuita e open source?

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Dal globale al locale, dal cloud ai nostri corpi, lo xenofemminismo si prende la responsabilità di costruire nuove istituzioni di proporzioni egemoniche tecnomaterialiste. Come ingegner* che devono concepire la struttura complessiva così come le parti molecolari che la costituiscono, XF sottolinea l’importanza della sfera mesopolitica rispetto all’efficacia circoscritta dei gesti locali, della creazione di zone autonome e del semplice orizzontalismo, così come si oppone all’imposizione trascendente, dall’alto verso il basso, di norme e valori. Il campo d’azione mesopolitico delle ambizioni universaliste perseguite dallo xenofemminismo si concepisce come una rete fluida e intricata di transiti tra queste polarità. Dal nostro pragmatismo, incoraggiamo la contaminazione come fattore di ibridazione tra questi confini.

TRABOCCARE

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XF afferma che adattare il nostro comportamento a un’epoca di complessità prometeica è un lavoro che richiede pazienza, ma una pazienza feroce che contrasta con l’“attesa”. Calibrare un’egemonia politica o un complesso memetico insorgente non solo comporta la creazione delle infrastrutture materiali necessarie per rendere espliciti i valori che articola, ma pone delle richieste a noi in quanto soggetti. Come possiamo ospitare in noi questo nuovo mondo? Come possiamo costruire un parassita semiotico migliore, che susciti i desideri che vogliamo desiderare, che organizzi non un’orgia autofaga di rabbia o indignazione, ma una comunità emancipatoria ed egualitaria sostenuta da nuove forme di solidarietà disinteressata e padronanza di sé collettiva?

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Lo xenofemminismo è un programma? No, se con questo s’intende qualcosa di rudimentale come una ricetta o uno strumento monouso per risolvere un dato problema. Preferiamo pensare come chi cospira o usa il linguaggio di programmazione LISP, che cerca di costruire un nuovo linguaggio nel quale il problema in questione si trova immerso, in modo tale che le soluzioni per superarlo, e per superare un numero indefinito di problemi connessi, possano svilupparsi con facilità. Lo xenofemminismo è una piattaforma, l’ambizione incipiente di costruire un nuovo linguaggio delle politiche sessuali; un linguaggio che si impadronisca dei propri metodi come materiali da rimaneggiare e si autocrei incrementandosi come un bootstrap. Sappiamo che i problemi da affrontare sono sistemici e intercollegati e che le possibilità di successo globale dipendono dalla capacità di infettare una molteplicità di contesti e competenze con la logica dello XF. La nostra è una trasformazione che procede con sussunzioni mirate che si infiltrano a poco a poco, piuttosto che un ribaltamento immediato; si tratta di una trasformazione che è una costruzione deliberata, che tenta di sommergere il patriarcato capitalista e suprematista bianco in un mare di procedure che ne indeboliscano il guscio e ne smantellino le difese, per costruire un mondo nuovo dai resti.

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Lo xenofemminismo indicizza il desiderio di costruire un futuro alieno con una X trionfante su una mappa mobile. La X non indica una destinazione. È l’introduzione di una sequenza chiave topologica tesa alla formazione di una logica inedita. Quando annunciamo un futuro svincolato dalla ripetizione del presente, militiamo per un ampliamento delle capacità, per spazi di libertà con una geometria più elaborata rispetto a quella della corsia, della catena di montaggio, della linea di alimentazione. Abbiamo bisogno di nuove possibilità concrete di percepire e agire, senza il paraocchi delle identità naturalizzate. In nome del femminismo, la “Natura” non sarà più un ricettacolo di ingiustizie o la base per qualsiasi tipo di giustificazione politica!

Se la natura è ingiusta, cambiala!


Consultato il 23 Novembre 2017 su www.laboriacuboniks.net